Tuesday, November 01, 2005

 

Zia Alice (seconda puntata)

Il giorno seguente i suoi familiari vennero a trovarla. Due sorelle, ora vecchie zie, entrambe sopravvissute ai loro rispettivi coniugi, vestigi di una razza tenace. Da figlie gagliarde di un garzone fiammingo, avendo trascorso gli anni di gloria nella lontana Bruxelles, espressero con gran baccano il loro ribrezzo per il ratto in lingua francese. In un tintinnio di braccialetti e di collane d'oro avevano piegato per benino le loro pelliccie su una sedia e si accinsero ora a prendersi cura della situazione. Erano andate tutte in cucina, avevano guardato dietro il frigorifero e dietro il fornello e con un bastone avevano frugato dietro il radiatore.
Poi fu il turno della camera da bagno. Avevano annusato la spugna che però per alcuni giorni era stata immersa in acqua clorurata e aveva quindi già perso il cattivo odore di muschio del corpo del ratto. Dopo avevano bevuto del té nel salone pieno di foto ingiallite e fiori di plastica. Avevano parlato di ratti, una storia spaventosa dopo l'altra. Da qui passarono pian pianino con abilità ad un altro argomento: gli uomini. Non si può parlare di ratti tutto il pomeriggio.
Quella notte Alice aveva dormito tranquillamente. Aveva sognato di Joe, il suo secondo marito, l'inglese. Stava al pianoforte nel ristorante e cantava per lei "Will you love me in December, as you do in May". E Alice pianse.
Il giorno dopo era venuto suo fratello. Era un uomo che, nonostante i suoi sessant'anni, con la sua sorprendente energia faceva lo sgambetto addirittura ai giovani. Durante le feste in famiglia ballava intrepido e si scatenava alla fine in una samba frenetica. Più d' una sorella si era chiesta con angoscia se il suo cuore avrebbe retto. Questi aveva portato con sé un sacco di plastica pieno di trappole e di veleno. Per un'ora strisciò carponi lungo i muri dell'appartamento. Quando si alzò sprigionava da lui un vago odore di formaggio. Aveva poco tempo, perché doveva andare da un'altra sorella per dipingere il soffitto e per tappezzare i muri. Bevve quindi il suo té in piedi e prese con sé un biscotto da sgranocchiare per strada.
Quella sera nella sua poltrona accanto alla radio Alice si era sentita stranamente minacciata da tutte quelle trappole e quel veleno. Ad ogni momento si aspettava di veder spuntare da sotto in armadio il ratto cacciando gridi acuti e trascinando le trappole.
Aveva disfatto il letto, poi l'aveva rifatto. Con il manico della scopa aveva tastato sotto il materasso e sotto il letto. Quella notte non poté dormire. Pensava al suo primo marito. Beveva molto ed era troppo pigro per lavorare. Quando era ubriaco, la picchiava. Joe invece era sempre allegro quando beveva. Non la picchiava mai. Ma gli uomini l'avevano sempre ingannata. E tutta la vita aveva sgobbato e sofferto per loro.
Era immersa in tali pensieri quando ebbe un sussulto per un qualcosa che le correva sopra le gambe. Prima non poté veder niente e poi, d'un tratto, vide la forma scura pesante del ratto che correva ai piedi del letto. Strisciava con la lunga coda rossa emettendo uno stridio snervante. Alice raggelò a quella vista e rimase col fiato sospeso. Poi diede dei calci sotto le lenzuola tentando di cacciare il ratto dal letto. Il ratto le saltò addosso. Alice si tirò sopra le lenzuola e si sentì il caldo corpo e le grinfie del ratto sulla faccia.
Per ore era rimasta lì come una mummia, avvolta nelle sue lenzuola, le umide lacrime sulle guance. Pregava. Ogni tanto tirava calci pensando che il ratto le fosse ancora sopra. Si era rammentata le storie delle sue sorelle, di come negli ospedali i ratti rosicchiavano i piedi di vecchietti moribondi.
(fine della seconda puntata)

This page is powered by Blogger. Isn't yours?