Saturday, March 19, 2005

 

Venezia e Roma

Venezia

Durante i miei viaggi evitavo con cura quasi maniacale le grandi città: sempre troppo affollate, troppo rumorose, troppo faticose, troppo pubblicizzate. Perciò a trent'anni suonati non conoscevo Venezia, se non attraverso le foto dei depliants turistici.
A quell'epoca stavo a Padova per un corso di aggiornamento e durante i fine settimana i miei amici italiani organizzavano delle passeggiate nei centri vicini: Caorle, Portogruaro etc. Così fu soltanto per accompagnare un mio amico italiano che, un Lunedì dell'Angelo, scesi alla stazione di Venezia.
Un mondo inaspettato mi si parò davanti, un mondo di luce, di acqua, di silenzio. Il fracasso degli autobus e delle auto che fa da sottofondo alle nostre vite non c'era più e al suo posto lo sciabordio delle onde, i richiami dei gondolieri e poi il rumore dei passi e persino il fruscio dei vestiti. E poi l'azzurro, tanto azzurro, del cielo e del mare che si fondevano e si riflettevano.
Fu un aprire una porta su di un'altra dimensione, su un mondo magico di luce e di colore. Piazza S. Marco che ti assale con i suoi cavalli, il gotico Palazzo Ducale con i suoi capolavori; le chiese di S. Giovanni e Paolo, di S. Maria Gloriosa, la chiesa del Carmine; gli splendidi edifici affacciati sul Canal Grande mi si pararono dinanzi e mi illuminarono con la loro bellezza e perfezione, la Ca' d'oro, Ca'barbaro, Ca'Foscari e Palazzo Pisani sono le cose che persistono di più e meglio nel ricordo di quella giornata mirabile e irrepetibile.

Roma

Ogni volta che rivedo Roma, lo stesso sortilegio. È come entrare in un mondo diverso, fuori persino dalla storia, in una dimensione mitica. Ma la prima volta fu speciale. Fu col pullman della scuola e ci fermammo dietro al Colosseo. E da quei ruderi, che tu conosci prima di conoscerli, cominciò la mia passeggiata in quel mondo impossibile. I Fori Imperiali, la Colonna Traiana, l'Altare della Patria e poi Piazza Venezia, la piazza del "Duce", altro tempo, altra storia. Quindi Via del Corso e a sinistra il Pantheon, di nuovo giù nel tempo, e poi Palazzo di Montecitorio, Palazzo Chigi, cuore della politica. Più su Fontana di Trevi, un palazzo di un barocco aggressivo che poi è una fontana. Pochi passi di fretta ed ecco Piazza di Spagna e quelle scale lunghe che portano chissà dove. Le emozioni si confondono come la storia. Un balzo verso il basso, senza un ordine preciso, ed è Piazza Navona con le sue fontane, che ti fa pensare di essere al centro di una nave che naviga in un mare senza tempo. Questo percorso, che è tra mille, mi portò invece a San Pietro. L'immensa piazza, il colonnato, la basilica con la sua cupola, i Musei Vaticani Michelangelo, Raffaello, Bernini, Tiziano, Caravaggio, non sai che dire prima. E tutta quella gente di ogni razza e colore che prega con gli occhi rivolti verso l'alto. San Pietro è l'eternità, come Roma. Ed è giusto che l'itinerario termini qui.

Yves Gilleman /Lilia de Feudis/ Sebastiano Giuliano

Monday, March 07, 2005

 

Fiabe e comunicazione

L'allenamento alle abilità comunicative, per il carattere eminentemente pratico di tale insegnamento, è una necessità in una scuola serale. Perciò, nel primo come anche nel secondo ciclo di studi d'italiano al nostro istituto (PCVO- moderne talen Hasselt) adoperiamo "Buongiorno" e "Buona sera" (Intertaal). Questi libri delineano un quadro esaustivo di moltissimi atti di comunicazione utilissimi ad un pubblico di adulti, desiderosi di possedere rapidamente i rudimenti della lingua italiana.
A volte, però, è interessante rompere ogni tanto questa strategia, impostata su basi troppo rigide. A lungo andare, un metodo prettamente utilitario non convince più pienamente. Uno studente motivatissimo, oltre a voler studiare un certo numero di strategie per trarsi d'impaccio nelle situazioni più disparate, vuole anche ricevere spunti per l'ulteriore elaborazione del suo bagaglio culturale.
In altra sede ho già accennato a ciò che facciamo al Centro di Lingue Moderne di Hasselt. Vorrei ora sottolineare un esperimento volto a combinare parzialmente l'aspetto comunicativo (in senso lato) della lingua con un'esigenza culturale più vasta. Lo studio di alcune fiabe mi pare lo strumento più adatto allo scopo prefisso.
Ritengo, però, che non solo la fiaba, ma qualsiasi testo , letterario o no, può essere adatto ad apportare abilità comunicative. Basta allora dischiudere il testo, cioè liberarlo dal suo isolamento culturale e metterlo a contatto con altri fenomeni espressivi (film, musica, pittura). In parole povere, gli accorgimenti ricettivi devono andare di pari passo con le abilità produttive da mettere in atto.
Per questo motivo non voglio qui proporre l'analisi di una fiaba, bensì la presentazione di una fiaba come spunto alla comunicazione e come sollecitazione alla lettura di altre fiabe che rientrino nel quadro più generico della cultura e dell'orizzonte mentale italiani. E se poi, sulla scia di ciò che è stato fatto in classe, lo studente si mette a leggere delle novelle e addirittura un romanzo, tanto meglio.
Per motivi di economia di spazio ho scelto una fiaba di H.C. Andersen: "Il vestito nuovo dell'Imperatore". La fiaba consta di sole 35 righe. Sta di fatto che l'uso di testi brevissimi giova alla concentrazione e permette anche di sviluppare più temi in una sola serata. Per sollecitare l'attenzione dell'uditorio, niente di più positivo che una rapida successione di temi mai completamente esauriti. Un argomento trattato compiutamente nel giro di più serate potrebbe venire a noia e non sarebbe più redditizio.
Può sembrare strana questa scelta di una fiaba di uno scrittore danese, quando si potrebbero leggere delle fiabe italiane, come quelle di Italo Calvino, di Gianni Rodari e di altri. Sottolineo, però, che il fatto di ricordare una fiaba, qualunque essa sia, induce gli studenti alla comunicazione. Ed è questo l'obiettivo che qui, in sostanza, si persegue. D'altronde, una cosa tira l'altra: riassumendo la trama della fiaba di Andersen, gli studenti mi hanno proposto di leggere in classe anche Cappuccetto Rosso e Alí Babà, delle fiabe oltremodo riconoscibili, ma un po' meno adatte perché più lunghe. E poi, via con le fiabe italiane...
La fiaba è un terreno linguistico fertilissimo e quasi inesauribile. Il registro piuttosto generico del vocabolario è un vantaggio, perché permette una rapida trasferibilità di queste stesse parole in altri campi. Ma oltre ad essere breve, ben riconoscibile e linguisticamente validissima, la fiaba di Andersen ha anche un valore contenutistico non trascurabile. Vista in un'ottica comunicativa, essa può essere un incitamento alla creatività e uno stimolo per la lettura di altre fiabe nell'ambito della cultura italiana. Voglio qui presentare tre esercizi particolarmente graditi dagli studenti. Sono oltremodo divertenti e stimolano la creatività verbale.
Il primo esercizio è la presentazione (senza suono) sul videoregistratore di un cartone animato di Walt Disney. Di cartoni animati se ne possono registrare a bizzeffe. Disponendo di un cartone che rappresentava la storia del lupo e dei tre porcellini, ho proposto agli studenti di commentare le vicende e di curare i dialoghi della storia.È stata un'esperienza divertente e anche valida.
Un altro esercizio consiste nella formulazione di ipotesi sul seguito della storia. Nascono così delle discussioni a volte animate, a riprova che la lettura di una fiaba spinge alla comunicazione. Poi ho fornito agli studenti alcune parole che sono servite da spunto alla redazione di un racconto autentico con le stesse funzioni narrative. Nell'allegato numero due si veda un esempio ben azzeccato di un tale esercizio basato su tre parole: un paio di occhiali- un registratore- un dado.
La lettura di una fiaba del celebre scrittore danese Hans Christian Andersen, l'accenno alle fiabe dei fratelli Grimm (Cappuccetto Rosso, Biancaneve e i sette nani, La bella dormente nel bosco...) e alle famose favole di Charles Perrault (Cenerentola, Pollicino, Il Gatto con gli stivali) hanno incuriosito alcuni studenti e li hanno spinti a leggere fiabe italiane.
Nell'ambito di questo breve articolo non mi è concesso dare un elenco esaustivo di tutte le fiabe italiane che si addicono allo studente di una scuola serale. Mi limiterò, pertanto, a presentare alcuni scrittori particolarmente "graditi" dagli studenti: Italo Calvino e Gianni Rodari. Il primo soprattutto per le sue "Fiabe italiane" e per la trilogia " I nostri antenati" , il secondo per le sue "Favole al telefono". Ma anche il "realismo magico" di Massimo Bontempelli, soprattutto ne "L'amante fedele", ha trovato buona accoglienza per i temi fiabeschi di alcuni suoi racconti. Alcuni studenti si sono anche messi a leggere le novelle di Pirandello, altri i racconti di Moravia e di Buzzati.
Sul finire di questo articolo mi accorgo che l'argomento era più complesso di quanto avessi previsto. Ho così la sensazione di non aver chiarito abbastanza esaurientemente l'approccio comunicativo della fiaba. Ben vengano, quindi, le vostre critiche o le vostre osservazioni. Solo così questo blog svolgerà il ruolo positivo che le spetta, come foro per tutte le nostre esperienze didattiche.

Yves Gilleman

Allegato 1 IL VESTITO NUOVO DELL'IMPERATORE
C'era una volta un Imperatore la cui sfrenata ambizione lo induceva a sperperare il denaro dello Stato. Il popolo languiva, ma l'imperatore egoista e ambizioso pensava soltanto ai suoi vestiti e ai suoi gioielli e niente era mai abbastanza bello e raffinato per lui.
Un giorno si presentarono al castello tre furbacchioni per imbrogliarlo. Dissero che sapevano tessere e confezionare un abito mai visto che, oltre allo splendore, possedeva un potere magico.
Quel potere consisteva nel fatto che il tessuto poteva essere visto soltanto da chi possedeva intelligenza, coraggio e onestà: chi era privo di queste doti, non avrebbe potuto veder nulla.
Figurarsi l'Imperatore! Mise a loro disposizione una stanza del palazzo e, assai contento, vide preparare il telaio e dare inizio all'opera con gesti e mimica da provetti artigiani.
I cortigiani, vedendo il telaio vuoto, credendo d'esser stupidi, tacevano e lo stesso Imperatore non osava fiatare perché temeva d'esser giudicato sciocco, pauroso e disonesto dal suo popolo.
I tre imbroglioni gli fecero provare abito e strascico: i sudditi diedero in esclamazioni di meraviglia e l'Imperatore, che nello specchio si vedeva sempre con la sola camicia, tremava di paura.
Venne il giorno del gran corteo. I tre furfanti partirono con un sacco di monete d'oro e l'Imperatore, credendosi avvolto nella più sontuosa veste, passò fra il suo popolo in muta ammirazione.
Tutti tacevano, vedendolo in mutande, per non essere giudicati senza senno e lealtà. Solo un bambino, sincero ed ingenuo, rise a crepapelle svelando così ai presenti il ridicolo inganno.
Quando tra le risa gridò: "L'imperatore è senza veste!", tutti, compreso l'Imperatore, capirono la beffa patita.
(H.C. Andersen)

Allegato 2 Fiaba scritta dalla signora Marie-Thérèse Gathy, studentessa dell'ultimo anno d'italiano.
Gli spunti: un paio di occhiali- il registratore - il dado.

C'era una volta un paio di occhiali molto per bene che appartenevano ad un professore. Un giorno dovettero assistere ad un congresso, organizzato dalla Lega per la Difesa degli Occhiali. Durante questo congresso vennero trattati diversi problemi p. es. come resistere ad un oratore che si toglie di continuo gli occhiali - altri argomenti invece più fricoli: come comportarsi quando ci si bacia- come evitare i cerchi intorno agli occhi prendendo il sole - come truccarsi gli occhi.
Dopo la riunione i nostri occhiali uscirono per pranzare. Però in piazza c'era un gran chiasso, nel ristorante erano radunati i registratori che facevano baldoria bevendo e giocando ai dadi. Non appena i registratori videro gli occhiali, cominciarono a prenderli in giro gridando: " Ma non siete più utili, quasi nessuno legge più, perfino nei musei si usano registratori invece di una guida scritta." Gli occhiali volevano ritirarsi molto offesi - però uno dei dadi a cui la sfrontatezza dei registratori dava fastidio si avvicinò agli occhiali e gli disse: " Sentite, se volete possiamo giocare un brutto tiro a quei tipi lì." Così fecero gli occhiali: invece di mostrarsi arrabbiati cominciarono a giocare coi registratori, e il dado, rotolando sempre in modo di dare il vantaggio agli occhiali riuscì a far perdere tutti i soldi ai registratori. Così il giorno dopo non rimasero abbastanza monete ai registratori per comprarsi delle pile, dovettero tener la bocca chiusa e, che vergogna, scrivere tutto su carta per farsi capire dalla gente. E gli occhiali tornarono a casa molto soddisfatti di sé.
Ride bene chi ride ultimo.

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